Abbiamo letto con particolare interesse l’articolo comparso sia sulle pagine del Corriere della Sera sia sulle pagine di Brescia Oggi in cui l’assessore Fondra
esponeva i dati raccolti dall’Osservatorio comunale sull’inceneritore. In merito
a quanto appreso, vorremo dare una nostra chiave di lettura sui risultati
emersi.
Le emissioni di qualunque inceneritore o altro
impianto emissivo industriale non devono mai superare i limiti imposti
nell’AIA, pena una potenziale indagine della magistratura con tanto di
sospensione dell’attività. Pertanto è da ritenere scontato che l’inceneritore
non abbia mai sforato i limiti previsti.
Decisamente poco chiaro, invece, il discorso legato al
controllo dei conferimenti: qualunque rifiuto deve avere, per legge, un specifico
codice CER, pena il non poter essere trasportato. L’inceneritore di Brescia può
quindi bruciare solamente i rifiuti con i codici CER per i quali ha
l’autorizzazione e nell’inceneritore entrano solo i mezzi che trasportano quei
rifiuti.
In cosa consisterebbero quindi questi “maggior
controlli”? Sono forse di tipo documentale? O forse svolti mediante analisi di
laboratorio? I primi siamo certi che già vengano eseguiti; sui secondi abbiamo
qualche perplessità perché di difficile gestione: i rifiuti quasi sempre sono
disomogenei, sia per composizione sia per forma, e quindi prelevare e
analizzare un campione di materiale su un carico ha effettivamente poco senso.
Fermo restando che trasportare rifiuti con un codice CER diverso da quello
previsto è un reato perseguito dalla legge.
Per quanto riguarda i dati delle emissioni, ne mancano all’appello almeno due, entrambe molto importanti: le emissioni di ossidi di zolfo (SOx) e la quantità per tipologia delle polveri emesse dall’inceneritore stesso (ci riferiamo a cromo, piombo, arsenico, mercurio, IPA, ecc.). Le polveri non sono tutte uguali e alcune sono più pericolose di altre per la salute dell’uomo. Un conto è inalare la sabbia di una spiaggia battuta dal vento, un conto è inalare la stessa quantità di arsenico o di diossine.
Per quanto riguarda i dati delle emissioni, ne mancano all’appello almeno due, entrambe molto importanti: le emissioni di ossidi di zolfo (SOx) e la quantità per tipologia delle polveri emesse dall’inceneritore stesso (ci riferiamo a cromo, piombo, arsenico, mercurio, IPA, ecc.). Le polveri non sono tutte uguali e alcune sono più pericolose di altre per la salute dell’uomo. Un conto è inalare la sabbia di una spiaggia battuta dal vento, un conto è inalare la stessa quantità di arsenico o di diossine.
Ad avvalorare quanto affermiamo ricordiamo due casi specifici di anomalie
dello SME, il Sistema di Monitoraggio in continuo delle Emissioni.
Il primo riguarda l’inceneritore di Cremona: per alcuni giorni, nonostante
la concentrazione delle polveri emesse fosse superiore ai limiti consentiti
(limite massimo 10 mg/Nmc) lo SME non rilevava alcun superamento, indicando
infatti una concentrazione di polveri dei fumi significativamente inferiore ai
10 mg/Nmc.
Il secondo invece si riferisce all’inceneritore di Filago (BG) dove, a
fronte di una concentrazione di SOx di 5 mg/Nmc, lo SME rilevava un valore
compreso tra 0 e 0,1 mg/Nmc.
Riteniamo pertanto necessario avviare quanto prima una
campagna di monitoraggio delle emissioni dell’inceneritore della durata di
almeno 6 mesi ad opera di ARPA tramite analizzatore
isocinetico, posizionato direttamente sul camino in modo da avere una
visione più precisa e completa su cosa indica lo SME e cosa esce effettivamente
dall’inceneritore. Di contro, pensiamo che la sola taratura dello strumento
(SME) non sia assolutamente sufficiente in quanto, nei due casi sopra descritti,
entrambe gli SME hanno avuto tutta la manutenzione e taratura prevista dalla
legge.
Vista la non facile situazione ambientale in cui versa
la città di Brescia e l’hinterland (il problema Caffaro è il più evidente),
sarebbe necessario attivarsi per svolgere quanto prima una valutazione
sull’impatto che le emissioni hanno sulla salute dei cittadini.
A tal riguardo, consigliamo vivamente un’analisi epidemiologica o, meglio
ancora, uno studio più ampio sull’impatto che l’inquinamento, atmosferico e non,
ha sulla salute della popolazione. Per quest’ultima proposta portiamo ad
esempio il metodo NATA (National Air
Toxic Assessment) utilizzato dall’EPA, l’Ente americano per protezione
dell’ambiente, per valutare l’impatto che hanno tutte le emissioni (non solo
quelle degli inceneritori) sulla salute dei cittadini.
Potrebbe essere l’inizio di un percorso “scientifico e
trasparente” che permetta di trovare abbastanza velocemente le giuste soluzioni
ai problemi ambientali che affliggono la nostra provincia (e non solo quella)
ormai da tanti anni.
Perché la salute dei cittadini non può più aspettare.
Associazione 5R Zero Sprechi
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