mercoledì 30 agosto 2017

Sul riciclo delle plastiche e il ruolo del plasmix



Bisogna smettere di raccogliere differenziatamente certa plastica? E’ necessario pensare ai destini del plasmix solo in termini di incenerimento? Raddrizziamo un dibattito che è nato storto (gli inglesi direbbero “biased”, ossia inclinato e “non imparziale”, nella direzione sbagliata) - Da lettori attenti ed utenti consapevoli degli spazi di FB, avrete notato che, carsicamente, riaffiorano di tanto in tanto, e con una certa accelerazione nelle ultime settimane, articoli, interviste, inchieste sulle difficoltà di riciclo della plastica. La cosa è stata messa in agenda dalla recente crisi di collocazione del cosiddetto “plasmix”, quella quota di plastiche eterogenee di basso valore, spesso avviate ad incenerimento. La declinazione iniziale del dibattito pareva suggerire che, esaurite le capacità di assorbimento da parte degli inceneritori, non ci fosse destino possibile per il plasmix (sia detto per inciso: sarebbe bello tornare un giorno sul tema del perché gli inceneritori preferiscono bruciare rifiuti urbani a basso potere calorifico, anziché plastiche ad elevato potere calorifico – una risposta c’è, ed è un’altra evidente sconfessione del mito prometeico del c.d. “recupero energetico”, ma è un’altra storia, qui per esigenze di linearità la tralasciamo, e un giorno magari ci torneremo). Questa declinazione/inclinazione iniziale della discussione (poi corretta grazie ad alcune ottimi interventi sul tema) prevedeva l’assenza clamorosa di un argomento (la possibilità di recuperare materia anche dalle plastiche eterogenee) e tendeva a suggerire, per generazione spontanea, un esito improprio del dibattito stesso: realizziamo ulteriore capacità di incenerimento, o restringiamo l’estensione delle raccolte differenziate della plastica alle sole frazioni (oggi) riciclabili. Avete già capito quanto stiamo per argomentare: errori concettuali, e sillogismi impropri, del tutto irricevibili. Mettiamo un po’ di cose a posto. Do il mio contributo mediante alcune note sul plasmix che avevo strutturato qualche settimana fa allo scopo di metterle a disposizione di alcuni attori del dibattito, che stanno portando avanti le istanze che ci stanno a cuore. Penso sia arrivato il momento di allargarne la condivisione. Come sempre, non nella presunzione che vengano integralmente condivise, ma per riempire con ulteriori argomenti alcuni clamorosi spazi bianchi nella discussione. Consideratele dunque un "repertorio di argomenti" per sostenere il confronto e partecipare, ognuno secondo il proprio ruolo ed angolazione, al dibattito sulle difficoltà relative al recupero del plasmix. 
ANZITUTTO: a livello nazionale, circa il 40-50% delle plastiche da RD sono costituite da plastiche eterogenee ("plasmix") che residuano a valle dei processi di selezione (in genere basati su linee di separazione ottico-pneumatica, dopo una prima separazione dimensionale e balistica) nelle piattaforme COREPLA. La percentuale italiana è grosso modo allineata con quella UE. DUNQUE: la classificazione di tali materiali come "plasmix" non è chimica, né merceologica, ma riferita ad una semplice scelta operativa, ossia quella di fermare i processi di selezione e riciclo dopo il recupero dei polimeri di maggiore valore (PET, HDPE, a volte PP ed LDPE) e fare terminare i vari altri polimeri (PS, a volte LDPE e PP, altre plastiche e materiali accoppiati, ma le scelte possono cambiare da piattaforma a piattaforma) nell'aggregato eterogeneo, perché presenti in percentuali basse o perché di valore minore. ATTENZIONE: corre qui l’obbligo di precisare che, ad ogni modo, le eventuali criticità nel riciclo di tali materiali (criticità non assolute, in quanto, come specificato ai punti successivi, le tecnologie di recupero esistono) non possono essere usate a supporto della affermazione, fatta temerariamente da taluni, che "bisogna differenziare solo quanto si recupera". In realtà, il meccanismo della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), istituito dalla Direttiva Imballaggi e recepito nel nostro ordinamento nazionale con il Dlgs 22/97 (Decreto Ronchi) e l''istituzione del sistema CONAI, prevede che la differenziazione sia strumento per restituire ai produttori TUTTI gli imballaggi immessi al consumo, e non solo quelli riciclabili. Questo, per conseguire un duplice scopo: - tenere comunque le (dis)economie di gestione di tali materiali in carico ai produttori, e non alla collettività - indirizzare anche in tale modo, a medio termine, le scelte industriali verso gli imballaggi più durevoli, riutilizzabili, riciclabili. In altre parole, se differenziamo e consegniamo ai consorzi di settore anche gli imballaggi per i quali si incontrano criticità nel recupero, le diseconomie di tali criticità resteranno in carico ai consorzi di settore, e dovrebbero essere un ulteriore stimolo per la riprogettazione degli imballaggi nella direzione della sostenibilità di gestione del fine vita (che l’entità del contributo ambientale sia poi in Italia relativamente bassa, e non consenta di esercitare appieno questa funzione di indirizzo, è altro ragionamento, per quanto complementare, e può essere sviluppato con dovizia di argomentazioni ed evidenze, come molti hanno già fatto, ed ottimamente. Ma qui, interessa il principio). 
RIPRENDIAMO il filo. Come già accennato, esistono ad ogni modo le tecnologie di recupero del plasmix, basate essenzialmente su processi di densificazione/estrusione. Tali tecnologie consentono di ottenere manufatti (bancali, vasi, bidoni, elementi di arredo urbano) di tipo durevole ed a loro volta riciclabili analogamente a fine vita. L'Italia ospita diverse iniziative antesignane in tale direzione, in Toscana, nelle Marche, altri operatori hanno sviluppato tecnologie ora installate all’estero (es. Slovenia, sotto la spinta delle reti e delle strategie RZ). A questa famiglia di tecnologie fa riferimento anche il progetto Ecopulplast promosso dal Centro di Ricerca RZ di Capannori assieme alle cartiere di Lucca, per recuperare il pulper da cartiera (la componente di scarto, a larga prevalenza plastica, che residua dalla selezione idrodinamica della carta da macero prima della sua reimmissione nel ciclo di produzione della carta). Sia detto incidentalmente: nel corso di una attività di cooperazione internazionale con la città di Vynnitsia (Ucraina, 300.000 ab.) abbiamo trovato in loco una Azienda che recupera 300.000 t/anno di plasmix proveniente da tutta Europa, e producendo soprattutto manufatti tecnologici (sistemi di drenaggio, canalette, coperchi per tombini) destinati al mercato Nord Americano - il che significa per loro rispettare anche gli standard tecnologici di settore. Le foto a corredo di queste note sono state scattate proprio in tale Azienda e ritraggono alcuni di tali manufatti. Tali attività sono pienamente definite dal punto di vista operativo, economico, imprenditoriale, e dimostrano la praticabilità dell'opzione, ma per il momento rappresentano esperienze "di nicchia", mentre l'ulteriore diffusione di esperienze analoghe per portare questo approccio a sistema avrebbe bisogno di misure a supporto per creare condizioni "di contesto" in grado di "mettere in agenda" definitivamente attività ed iniziative di questo genere. Qui si colloca anche una recente iniziativa parlamentare che, mediante una proposta di legge, intende dare certezze operative ed imprenditoriali al settore, - istituendo marchi per la riconoscibilità e la qualificazione dei manufatti ("plastiche seconda vita") - promuovendo gli acquisti verdi, secondo il Decreto sul GPP, nel settore dei manufatti per l'arredo urbano - prevedendo altre agevolazioni, come il credito di imposta e l'accesso a tariffe agevolate per l'energia necessaria alle operazioni di recupero. 
RIASSUMENDO: tutto ciò considerato, in una prospettiva RZ e di sostenibilità, noi riassumiamo l'approccio corretto secondo la seguente scansione di priorità: - nel medio-lungo termine, il problema del plasmix va affrontato, in coerenza con i principi della Economia Circolare, mediante lo strumento della riprogettazione dell'imballaggio, nella direzione della durevolezza, dei sistemi di deposito su cauzione per il riutilizzo, della riciclabilità, e dismettendo progressivamente le plastiche che mostrano maggiori criticità (anche se non impossibilità) nel riciclo. - come opzione transitoria e "tattica", in attesa che la riconversione dei sistemi di produzione e distribuzione imballaggi eserciti i suoi effetti virtuosi, nell'immediato va comunque promosso il recupero del plasmix come materia, mediante sistemi di densificazione/estrusione. L’Economia Circolare, e la pratica RZ che ne costituisce il migliore strumento operativo, richiedono di puntare sempre al meglio. E di non fermarsi di fronte alle criticità, ma di usare l’intelligenza e lo spirito di iniziativa per riprogettare, inventare intraprendere. Ricordiamoci sempre: sulla sostenibilità, ed il perfezionamento progressivo dei percorsi di gestione delle risorse, vale la pena di essere ambiziosi. E testardi Al piacere di rileggervi!

Enzo Favoino

giovedì 10 agosto 2017

La terra non è un videogame

Chi oggi ha 20 anni rischia di trovare nel bel mezzo della sua vita un pianeta inospitale, con un clima incattivito che gli farà vedere i sorci verdi e una crisi ambientale irreversibile che metterà a rischio salute e benessere.
Questo è l'allarme più grave e senza precedenti di cui si dovrebbe occupare chi effettivamente ne sperimenterà in futuro le conseguenze. I sessantenni di oggi magari ancora appiccicati alla sedia del potere non ci saranno più. Non ci si potrà nemmeno incazzare con questi per i guasti causati da loro indugi e maneggi. Quindi l'unica maniera di ridurre l'impatto di domani è agire oggi subito. Ma che cosa faranno i nostri ventenni? In massima parte se ne fottono. Lo dico non per partito preso né per retorica ma sulla base di una trentennale esperienza nel campo della formazione scolastica. A tutti i livelli e in gran parte della nazione sono più sensibili alle scuole materne bambini che se gli spieghi che i rifiuti uccidono fanno di tutto per raccoglierli e pulire il loro piccolo pezzetto di mondo per fino a Roma. Poi crescono assecondati dai genitori iperprotettivi e subiscono deresponsabilizzazione, apatia, distrazione. Un liceale mi disse anni fa a una cena di famiglia: "Guarda che l'ambiente non interessa nessuno".
Aveva ragione. Non voglio fare di tutta l'erba un fascio. Ci sono solo gli studenti attenti e brillanti che dopo che hai spiegato loro i rischi che corrono scelgono di studiare scienze ambientali e mi scrivono dopo un po' di tempo ringraziando per il suggerimento talora già come blasonati docenti in qualche università straniera. Ma sempre si tratta di casi isolati individuali. Manca la capacità di aggregazione, di riflessione collettiva su un problema che investe soprattutto la loro generazione, di creazione di gruppi di azione svolti a una politica attiva basata su molti fatti scientifici e poca ideologia. La rete renderebbe tutto più facile: in pochi giorni uno studente potrebbe creare un movimento mondiale di presa di coscienza e mobilitazione, ma nisba, il web lo usano per altri futili fini. In tanti anni non ho mai visto sorgere una esperienza ambientale numerosa solida e ramificata per iniziativa studentesca. In una scuola del Nord Italia i ragazzini hanno contestato che gli attribuiamo troppe responsabilità. La colpa non è loro non devono essere caricate di obbligo e poi che palle con questo catastrofismo. I problemi del futuro non interessano anche perché non li rendiamo attraenti, ludici. La vita come un videogioco. Se il medico ti diagnostica un tumore te lo devi dire ballando con gli applausi e le risate finte in sottofond. In un'altra scuola del Nord un paio di studenti decidono di organizzare una conferenza sul clima nello spazio autogestito. Lottano contro la burocrazia ostile. Bravi. Vado con entusiasmo per premiare l'intraprendenza nata da loro e non da un docente ma l'aula magna è deserta: su 1600 studenti dell'Istituto erano meno di una ventina. A una serata sul clima nel Biellese tra un pubblico di molti giovani si alza il cinquantenne negazionista di turno "Tutte balle il clima non cambia per colpa nostra". Gran fatica a combattere il signore scettico con i dati dei climatologi migliori del mondo. Dopo l'incontro i ragazzi vengono silenziosi da me a tributarmi sostegno: "Ha ragione lei" Ma perché non vi siete alzate tutti insieme a fischiarlo, comunicandogli vigorosamente che del vostro futuro preferite occuparvene voi?
E loro 'Eh siamo timidi..."

Luca Mercalli