lunedì 16 ottobre 2017

Perché il teleriscaldamento è una "bufala"?


Domenica 15 ottobre è comparso su un sito di informazione locale un articolo, probabilmente scritto dall'ufficio comunicazione di  #a2a, in cui si decantavano le lodi sperticate del teleriscaldamento. Secondo quanto riportato, bruciare rifiuti per alimentare una rete di teleriscaldamento permette di "sfruttare il calore prodotto dalle fonti rinnovabili" [??] e valorizzare "quella porzione di rifiuti non utilmente riciclabili". 
Senza entrare nel merito di quali siano i rifiuti "non utilmente riciclabili" e della legge di conservazione della massa, argomenti su cui abbiamo speso paginate sui social e sul web, utilizzare rifiuti per alimentare una rete di teleriscaldamento, oltre a generare qualche piccolo problema di emissioni come diossine e metalli pesanti, crea un sistema "malato" in cui le politiche virtuose di riduzione dei rifiuti, avallate dalla stessa Unione Europea, subirebbero un duro colpo. Nel Nord Europa, dove hanno realizzato impianti analoghi negli anni passati, oggi sono costretti a importare rifiuti.
Se il rifiuto diventa un elemento indispensabile per far funzionare poi un sistema di teleriscaldamento, che senso avrebbe per una amministrazione comunale far fare ai propri cittadini la #TariffaPuntuale (per ridurre considerevolmente il volume del secco residuo da incenerire, e fare pagare una tari proporzionale ai rifiuti prodotti?
Anche perché poi, può capitare, come nel caso in questione, che l'azienda che gestisce la Raccolta Differenziata (leggi Aprica) è collegata a doppio filo con l'azienda che gestisce l'incenerimento dei rifiuti per fare teleriscaldamento (leggi a2a), a sua volta partecipata dall'amministrazione comunale stessa. 

A Lecco, per esempio, ne stanno discutendo animatamente da alcuni anni. E sono tanti i dubbi circa l'utilità di un tale sistema, che necessità di considerevoli investimenti per realizzare l'infrastruttura, e crea, appunto, una pericolosa dipendenza con i rifiuti.
Se non dovessero bastare quelli "prodotti in loco", si dovranno importare?
Capiamo che in Italia il cosiddetto "conflitto di interessi" non è più di moda ed è meglio non parlarne, ma magari qualche cittadino un paio di domande potrebbe farsele.
Anche perché poi sentiamo pontificare ogni giorno di "Economia circolare" (giunta, in questi giorni, alla release 4.0) e qualche sorriso (amaro) ci scappa.
Voi che ne dite?

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